Per la nostra nuova avventura abbiamo scelto un posto veramente speciale. Fuori dal centro città, un concentrato di architettura fighissima, arte, spuntini e bella gente: Pirelli Hangar Bicocca a Milano.
Questa volta siamo stati previdenti e prima di uscire di casa, nel pomeriggio di sabato, abbiamo controllato orario e giorni di apertura della mostra due volte.
Prendiamo la Metro Lilla; i posti in testa al vagone sono liberi, per cui ci accomodiamo sentendoci un po’ come sulle giostre, dato che il tratto è automatizzato e sembra quasi di guidare il treno (abbiamo 8 anni in due).
Giunti a destinazione restiamo comunque qualche minuto fuori, a fare due passi nel cortile, a contemplare l’universo e a cercare di risolvere i problemi di Fra con la messa a fuoco.
Ci avviciniamo all’entrata per la visita alla mostra, che in realtà sono tre. La signorina ci regala le mini-guide e ci spiega il giro; facciamo naturalmente di testa nostra sbagliando tutti gli ingressi/uscite.
L’Hangar è una fondazione no profit attiva dal 2004, nata dalla riconversione di uno stabilimento industriale, che si dedica alla promozione dell’arte contemporanea. Ogni esposizione viene studiata in stretta relazione con l’architettura ospitante e la visita è completamente gratuita.
L’edificio comprende tre spazi espositivi: lo Shed, le Navate e il Cubo. Shed in italiano significa “capannone”; ma inserire un centro d’arte in un capannone non era molto carino, e allora gli hanno cambiato nome.
Entriamo alla mostra “GDM – Grand Dad’s Visitor Center”. L’artista francese Laure Prouvost ama creare situazioni bizzarre e misteriose, immagini controverse, affascinanti e disturbanti allo stesso tempo. La sua immaginazione attinge dalle fonti più disparate della cultura contemporanea. Il visitatore è chiamato all’interazione e sollecitato in un’esperienza sensoriale insolita eppure familiare. Installazioni, video, sculture, dipinti creano il Visitor Center dedicato al nonno dell’artista.
Purtroppo il giorno in cui siamo stati all’Hangar era uno degli ultimi disponibili per visitare GDM.
Il percorso si conclude all’interno di un corridoio buio, preludio della sezione dedicata a Miroslaw Balka, all’interno delle navate.
Premesso che ci piace restare sorpresi dai luoghi e dagli eventi che visitiamo, evitiamo di informarci troppo prima delle visite, per restituire un giudizio meno inquinato possibile. In questo caso, casomai avessimo avuto voglia di colmare la nostra ignoranza durante il tour, avrebbero dovuto stampare le guide su carta fluorescente. Ci ritroviamo immersi nelle tenebre, perdendoci di vista dopo 18 secondi; per fortuna Fra ha le chiamate illimitate e la torcia al cellulare.
Scherzi a parte; nonostante non conoscessimo il contenuto della mostra ne abbiamo percepito subito la profondità. L’artista polacco esplora i lati più oscuri dell’esistenza, facendo leva sulla sensibilità umana. Oggetti ordinari assumono connotati inaspettati e carichi di significato chiamando in causa la memoria collettiva riguardo a temi come la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto.
“CROSSOVER/S” presenta una quindicina di opere iconiche dagli anni ’90 ad oggi, distribuite lungo tutte le superfici delle navate; alcune le stiamo ancora cercando, altre ci hanno particolarmente turbato: ve ne raccontiamo alcune.
To Be, 2014. Una molla metallica appesa al soffitto che si trascina sul pavimento, inquadrata da un fascio di luce. Ad intervalli costanti riceve delle scosse che producono un movimento sinuoso ed un suono straniante che attira il visitatore, e lo invita ad avvicinarsi. Gius è rimasto sotto mezz’ora, ammirando l’alternanza tra tormento e quiete, luce e oscurità.
200 x 760 x 500 / The Right Path, 2008/2015. Che titolo è? Vi starete chiedendo… Balka utilizza le proporzioni del corpo umano come modulo di relazione spaziale e le misure stesse delle opere diventano titoli. In questo caso si tratta di un’esperienza apparentemente banale quanto assolutamente straordinaria. L’opera è percorribile, ci si trova in un corridoio buio. In pochi istanti si è immersi in uno spazio sconosciuto, carico di insicurezza, smarrimento e ricordi infantili.
400 x 250 x 30, 2005. Una grande piattaforma mobile invita il visitatore a percorrerla. Fin qui nulla di speciale. Procedendo la struttura si sbilancia, assecondando il carico dell’ospite e producendo un forte suono. L’equilibrio di chi la attraversa è messo in discussione, suscitando un sentimento di instabilità e precarietà. Noi, ci sentivamo già abbastanza precari e in più avevamo appena finito di mangiare per cui siamo semplicemente rimasti a guardare.
Dopo aver consultato Google Maps per cercare l’accesso a I Sette Palazzi Celesti, ci avviamo verso l’ultima parte della nostra visita. In realtà le mini-guide distribuite all’ingresso sono fatte benissimo e alla fine di ognuna c’è una mappa su un foglio doppio, che se la apri puoi consultarla mentre leggi le spiegazioni delle opere: geniale. Ovviamente le nostre riemergono dallo zaino di Fra solo il mercoledì successivo; dettagli.
L’installazione site-specific (ammazza) I Sette Palazzi Celesti (2004), di Anselm Kiefer, riprende il nome da un antico trattato ebraico che racconta il simbolico cammino spirituale di avvicinamento a Dio. Sette torri in calcestruzzo armato con un’altezza massima di 18 metri. Gius, appena siamo entrati, ha chiesto se avessero fatto delle verifiche strutturali prima di erigerle, che non si sa mai (deformazione professionale).
Tra i vari piani, si inseriscono dei libri e dei cunei in piombo, materia simbolo della malinconia. I drammatici totem rappresentano le rovine d’Europa dopo la Seconda Guerra mondiale. Ancora, cinque grandi tele completano l’opera e amplificano l’effetto dell’installazione permanente. I temi sono simili, rievocando antiche costruzioni utilizzate dall’uomo per ascendere al divino.
Tante belle cose insomma. Altri venti minuti per trovare l’uscita; sulla sinistra notiamo il bar/ristorante che – almeno un caffè ce lo prendiamo – saremmo rimasti a vivere lì. Incontriamo Davide (che salutiamo e ringraziamo per il caffè!), un video maker a cui chiediamo qualche dritta per i video girati con lo smartphone. Dopo aver provato ad insegnarci qualche cosa, il consiglio è stato motivante e dettagliato: “lasciate perdere”.
All’esterno dei divani sono ben mimetizzati nel contesto architettonico ma riusciamo comunque a scovarli e a fare un riposino. Dopo aver fatto leva su tutta la forza di volontà, riusciamo ad alzarci. Ci incamminiamo verso casa ma, lasciandoci tentare dal profumo del burro sui popcorn, optiamo per un film al Bicocca Village, il cinema multisala vicinissimo al Hangar. Oltre ai popcorn ordiniamo hamburger, pizza, coca, cotechino e lenticchie neanche fossimo in dodici.
Si accettano scommesse sulla pellicola che abbiamo scelto!
Al prossimo lunedì, i vostri WOM!
Pirelli Hangar Bicocca
Via Chiese 2 ( Metro lilla – fermata Ponale)
20126 Milano
6 comments
Gran bella mostra. Potrebbe essere una delle mie prossime mete per quando andrò a Milano
Paolo 🙂
Ciao Paolo, mostre e location sono davvero suggestive. Siamo curiosi di conoscere le tue impressioni quando le vedrai. Tienici aggiornati!! 😊
ciao Ragazzi, spero di riuscire a visitare presto questo posto. il vostro tour ha stuzzicato la mia curiosità, cosa abbastanza insolita per una come me che di Arte ne capisce tanto quanto niente. :S
La scrittura semplice, direi a tratti molto simpatica, è abbastanza coinvolgente. bravi ragazzi. non vedo l ora di leggere altri articoli. (anche se GIUS non si può sentire ahahah)
ciao belli <3
Ciao Azzurra, grazie per i complimenti, fanno sempre piacere ( quindi abbonda pure!!) 😉
Speriamo che le parole e le immagini di ogni articolo possano rendere il lunedì più leggero e solleticare la curosità di chi come te ci segue.
Continua a leggerci…e aspettiamo suggerimenti alternativi su “Gius”.
Mi son sempre chiesto anche io se stessero in piedi i sette palazzi celesti. Keefer è magico nel rendere poetica e drammatica una materia brut(t)a: non sai come fa ma senti la forza del pensiero (obi one kenobi direbbe, con ragione, che si tratta nel suo caso del pensiero della Forza, e la fantascienza non è così lontana dalla sua “Storia”).
Una sfida: mutatis mutandis i due Musei Fondazione Alberto Burri a Città di Castello.
Un’overdose di bellezza ed emozione dal genio padre di tutti i facitori d’arte con la materia bruta , posti in due edifici museali perfetti.
Da svenire, e non è retorica sentimentale.
Ottimo suggerimento (come al solito).
Ci piacerebbe andare in Sicilia in estate, magari Gibellina!