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Milano, Open house

Dopo una settimana di noie e seccature, finalmente è venerdì sera. Fra vuole preparare il risotto, per cui ceniamo a casa. Gius apre il vino e riempie i calici. La bottiglia non supererà la prima portata. Nonostante le pantofole, si tratta di una cena decorosa e non può mancare il dessert.

Arenati sul divano (Gius disconosce ogni responsabilità di lavaggio stoviglie), cerchiamo di organizzare il weekend spulciando tra le infinite risorse del web. Scopriamo che sabato 13 e domenica 14 maggio c’è Open House Milano. Si tratta di un evento annuale a cui si partecipa liberamente per visitare edifici pubblici e privati dal riconosciuto valore architettonico. Ce n’è per tutti i gusti, anche con visite guidate assolutamente gratuite.

Prendiamo due appunti e siamo così gasati da crollare miseramente sul divano dopo l’ennesima coppa di gelato (o di vino?).

Sabato mattina sveglia comoda e colazione felice da Momo per iniziare bene la giornata: cappuccino, caffè, un cornetto, un pezzo di torta e due muffin (famazza nera). Poi, con lo zaino in spalla e gli occhiali da sole sul naso ci avviamo verso la metro. Qualcuno tra i due (uno a caso, Fra) dimentica il taccuino con le note di viaggio, per cui siamo costretti a tornare a casa per recuperarlo.

La visita prevede due gallerie d’arte, in punti diametralmente opposti della città (effetto della pianificazione sotto dell’effetto dell’alcool).

Per la seconda volta imbocchiamo la metro in direzione Lambrate che, dopo l’East Market, per noi non ha più segreti. Gius ha visto le foto della Galleria Francesca Minini sul sito, quindi fa da guida. Ricorda un murales con motivi floreali (o forse erano pappagalli). Incontriamo qualunque cose meno che i pappagalli; una guida di Open House ci consiglia di continuare a camminare. Siamo quasi arrivati a Bergamo quando iniziamo a dubitare dell’attendibilità delle indicazioni ricevute. Ci ricordiamo di avere uno smartphone con tanto di Google Maps; lo consultiamo. Ci rimanda al punto di partenza, esattamente accanto alla guida beffarda (non le offriremo il caffè).

Finalmente entriamo. Dal 7 di maggio è allestita la mostra personale di Mandla Reuter, artista nato nel 1975 in Sud Africa, che attualmente vive e lavora a Berlino.

La nostra attenzione è subito catturata da un’imponente palla gonfiabile, normalmente utilizzata dai ricercatori per far emergere il frutto di scavi subacquei. L’oggetto quasi ostacola il passaggio e pare un cetaceo arenato. La funzione poetica del pallone è quella di portare alla luce ciò che è nascosto e spesso dimenticato. In sala ci sono altri oggetti di uso comune in forte contrasto cromatico con le immacolate pareti della galleria.

Lo spazio è contenuto e la visita si conclude rapidamente nonostante il forte impatto. Rientriamo a casa per cambio abito (caldo esagerato e conseguente ascella pezzata) approfittiamo per mangiare qualcosa al volo prima di ripartire verso la seconda Galleria, Lia Rumma. Riprendiamo la metro e scendiamo alla fermata Cenisio.

Notiamo subito l’edificio. Un grande volume bianco piuttosto arretrato rispetto al fronte stradale. All’interno degli ambienti molto ampi e luminosi distribuiti su tre piani accolgono la mostra personale (dal titolo impronunciabile) di Reinhard Mucha, nato a Düsseldorf nel 1950. Al piano terra l’opera Insel der Seligen (Isola dei beati). Viene ricreata sul pavimento l’immagine di un tetto. Dei coppi antichi sono distribuiti su un letto di detriti, in netto contrasto col tessuto industriale in cui si inserisce l’edificio. Una riflessione ricca e profonda nei confronti della realtà urbana contemporanea.

Proseguendo la visita emergono i riferimenti dell’artista al mondo dell’Architettura e del Design.

Scattiamo qualche foto anche all’esterno prima di rincasare. È sabato sera quindi la pizza è obbligatoria. Ne ordiniamo un paio da asporto e intanto scegliamo il film, rigorosamente horror (così nessuno si addormenta). Vada per “The Boy”. Ceniamo tranquillamente con le finestre aperte, l’aria è tiepida.

Non siamo neanche a metà film che Gius già dorme da mezz’ora, ma considerando che si addormenta anche al cinema, questa volta almeno non abbiamo pagato il biglietto!

Al prossimo lunedì,

i vostri WOM

 

http://www.openhousemilano.org/

 

2 comments

  1. mmmm un po’ troppo concetto senza forma e arte … stanco di mostre che sono oggetti in trasloco con lungo foglietto illustrativo che parla dei concetti come il “bugiardino” dei medicinali.
    Un po’ Corazzata Potiomkin dope averne viste tante.
    Provocazione: Cattedrale Vegetale a Lodi, grande poesia, concetti che parlano e opere che suggeriscono, strutture da grande artarchingenio.

    1. Ottimo suggerimento! Potrebbe essere un posto da WOM 🙂
      stay tuned…

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