Le Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni
L’ultima volta abbiamo raccontato la prima parte del nostro fine settimana alla Biennale dell’Arte di Venezia. Se ben ricordate, dopo aver visitato l’Arsenale siamo andati a cena. Fra aveva scoperto un esemplare da vite al limite di tenebrione mugnaio, nascosto dietro ad un fungo, nel piatto di tagliatelle.
I gestori del ristorante ci rassicurano: è SOLO un verme della farina, come se la cosa dovesse consolarci. Siamo indecisi se chiamare l’asl o la protezione animali. Alla fine lasciamo correre; non abbiamo voglia di metterci a litigare, e poi era dalle elementari che Gius non sentiva la parola mugnaio (l’altro ieri praticamente).
Venezia è troppo bella per arrabbiarsi, facciamo altri due passi prima di perderci e tornare in albergo coi piedi sanguinanti. Questa volta in reception c’è un ragazzo più simpatico: ha un livello di italiano pari a quello di un pappagallo cenerino, ma almeno sorride.
Il giorno seguente ci dirigiamo dritti verso i Giardini della Biennale. Ai tornelli mostriamo i biglietti, ed entriamo. Visitiamo in prima battuta i padiglioni di Spagna, Belgio e Olanda, poi un quarto affollatissimo. Ci mettiamo in coda; solo dopo aver visto sfiorire la giovinezza di Gius, scopriamo di essere in fila per il bagno: molto bene.
Vogliamo bere qualcosa prima di avvicinarci alla parte più corposa dell’esposizione. Il bar è psichedelico, il risultato esatto di una progettazione sotto effetto di barbiturici e metanfetamine.
Al Padiglione Centrale, i confini tra artisti, e visitatori sono molto sfumati..
In una specie di giardino zen, l’incontro del terzo tipo. Mentre Fra è intento a fotografare qualunque cosa, viene puntato da una giovane asiatica che gli si avvicina. La ragazza è vestita come Goemon di Lupin oppure da cavaliere dello zodiaco in borghese. Assume una posa plastica e conserva qualcosa tra le mani, come in un gesto di offerta. Pensiamo si tratti di una proposta di matrimonio; ci guardano tutti: sale la preoccupazione.
Fra ripercorre mentalmente i suoi ultimi due lustri di vita, alla ricerca di un indizio, di una serata eccessivamente alcolica che possa dare un senso a quel momento. Niente di niente. Un signore, da ora in poi rinominato “Il Salvatore”, ci invita a spostarci. Siamo nel bel mezzo di una performance. Allora ci allontaniamo e iniziamo a guardarci intorno con aria decisamente più sospettosa.
Nei padiglioni rimanenti incontriamo qualunque cosa.
Gal Weinstein rappresenta Israele per la Biennale di Venezia 2017. La mostra si intotola Sun Sand Still ed è ospitata all’interno del padiglione modernista del 1952 a cui risulta essere strettamente legata. Quando varchiamo la soglia dell’edificio, un odore di caffè misto mummia di Tutankhamon ci travolge. Non capiamo. Ci addentriamo e scorgiamo un immenso tappeto di materiale non ben identificato, sembrano delle zolle di terra.
Ci spiegano che si tratta di fondi di caffè, su cui è prolificata della muffa; anche le pareti ne sono ricoperte. Gius sgrana gli occhi, mette subito una mano nello zaino alla ricerca dell’inalatore per l’asma. Non riesce a trovarlo dato che non ha mai sofferto di asma… Al piano superiore una gigantesca nuvola annerita e dall’aspetto minaccioso, dotata di un importante pungiglione.
L’artista si riferisce al tempo, al suo scorrere inesorabile; riflette questa esperienza nelle sue opere organiche, che sono in continuo mutamento. Riferisce una critica alle icone romantiche della memoria collettiva, in particolare israeliane.
Nell’elegantissimo Padiglione dei Paesi Nordici, dell’architetto norvegese Sverre Fehn, delle ragazze asiatiche (sempre loro) si spiaccicano sulla rampa di scale esterne, divertendosi un sacco. Forse in Asia non hanno le scale. Vorremmo farlo anche noi, ma desistiamo per non farci arrestare.
Poco più avanti il Padiglione dei giapponesi. Dopo Expo 2015 hanno dichiarato che creare code di italiani disorientati in giro per il mondo è diventata la disciplina olimpica nazionale. Gareggiano anche a Venezia con ottimi risultati.
Ci mettiamo in fila, ci impieghiamo più tempo che per raggiungere i bagni. La gente aspetta per infilare la testa in un foro; all’interno devono essere svelati i segreti dell’universo. Qualcuno esce con l’espressione turbata, altri sorridendo. Tutto è molto strano. Takahiro Iwasaki, (per gli amici Mila e Shiro) è l’artefice di questo complotto.
E’ finalmente il turno di Gius; palpitazioni. Prima di affacciarsi minaccia la hostess, affinché sveli il mistero. Lei non cede; poi tocca a Fra che uscirà con i capelli biondi. Sono state viste cose inenarrabili. Rivelarle sarebbe uno spoiler più grande di quello dell’ottava stagione del Trono di Spade.
Non potremmo mai macchiarci di un simile delitto nei confronti dei nostri lettori. Invitiamo i più curiosi a contattarci in privato, avvertendoli che dopo le nostre dichiarazioni le loro esistenze potrebbero essere segnate per sempre.
Anche il padiglione della Repubblica di Corea ci è piaciuto molto. Cody Choi trasforma il prospetto dell’edificio nella facciata di un motel di Las Vegas. Il progetto intende comunicare le contraddizioni del mondo contemporaneo. Si è combattuti rispetto ad esigenze apparentemente antitetiche dell’uomo, passate e presenti: la spiritualità, il consumismo, il riconoscimento personale e la globalizzazione.
Nello stesso edificio, Lee Wan crea l’installazione Proper Time. L’opera è molto suggestiva; un intero ambiente è tappezzato di orologi, che identificano individui reali. Alcuni scorrono più rapidamente, altri sono quasi fermi. Ogni personaggio rappresentato svolge un mestiere in diverse parti del mondo. L’artista calcola per ognuno di essi i minuti di lavoro necessari al fine di permettersi un pasto.
Visitiamo tutti gli altri Padiglioni fino a quando non sopraggiungono le convulsioni. Nel frattempo una riproduzione in scala reale della nuvola del Padiglione d’Israele si apposta sulle nostre teste: inizia a piovere. Naturalmente l’hotel è dall’altra parte della città. Magari chiamiamo un taxi… ah già…
Al prossimo lunedì,
I vostri WOM!