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57a Biennale d’arte di Venezia.

Quando l’arte ospita l’arte: Arsenale.

Abbiamo la fortuna di vivere in un paese meraviglioso. Da nord a sud c’è solo l’imbarazzo della scelta. Persone da ogni parte del mondo si mettono in viaggio per visitare luoghi a noi vicinissimi. Tra i nostri gioielli più preziosi, come non citare Venezia. La città regala emozioni uniche. Per il resto, pagherete anche l’aria, ma non è questo il punto…

Nonostante il nostro conto in banca somigli a quello di Calimero, non possiamo rinunciare ad un fine settimana nel capoluogo Veneto. Mangeremo solo pane e cipolla portati da casa, ma il gioco vale la candela. Visiteremo la 57. Esposizione Internazionale d’Arte, a cura di Christine Macel e intitolata VIVA ARTE VIVA.

Partiamo sabato mattina da Milano Centrale: fa ancora piuttosto caldo. Col Freccia Rossa (prenotato 4 anni prima)  sei comodamente a Venezia in un paio di ore. Dopo un caffè al sapore di morte arriviamo in hotel e molliamo i bagagli. Alla reception sono molto contenti di vederci, tanto quanto le verruche sotto ai piedi. Poco importa; noi siamo diretti all’Arsenale, per la prima visita alla Biennale.

Dall’hotel ci dirigiamo verso Piazza San Marco che è stracolma di gente; ad aver messo il deodorante saranno stati solo in tre. Dopo un pranzo al volo per il turista che non deve chiedere mai, scoviamo un posticino all’ombra. Facciamo una piccola pausa prima che i turisti inizino a sedersi in braccio. L’Arsenale è vicino (insomma) e riprendiamo a camminare. Dal Palazzo Ducale, superiamo sei ponticelli prima di svoltare a sinistra; finalmente siamo arrivati!

Fra ritira i biglietti allo sportello e ed entriamo. La Mostra è strutturata in nove capitoli, distribuiti tra Arsenale e Giardini. Visitare tutto insieme è da temerari; noi ce la siamo presa comoda e abbiamo dedicato una giornata ad ogni sito, acquistando un biglietto speciale.

I 120 artisti partecipanti offrono al pubblico la propria prospettiva sulla realtà circostante; per la maggior parte di loro è stata la prima esperienza. L’arte diventa un mezzo per non soccombere alle forze che governano il mondo, restando critici, resistenti e liberi. Gli incontri e il dialogo tra pubblico e artisti sono momenti cruciali dell’esposizione, in un processo di reciproca contaminazione.

L’arte è una pura forma di riflessione umana; il titolo della mostra VIVA ARTE VIVA è un invito ed uno stimolo a celebrare questa forma libera di pensiero. All’Arsenale, si succedono 7 dei 9 padiglioni, che si svolgono come un processo spirituale. Tra questi, il Padiglione degli Sciamani merita particolare attenzione. L’artista, alla stregua di uno sciamano ha il compito di equilibrare ambiente sensibile e insensibile.

Ernesto Neto, brasiliano classe 1964, apre la sezione con una gigantesca tenda-ragnatela intitolata Sacred Place, ispirata alla culture amerindi; un luogo fisico e spirituale per riconciliarsi alla terra e agli altri uomini. Gli ospiti si slacciano le scarpe ed entrano, calpestando a piedi nudi un humus di natura non ben identificata. A noi piacciono i funghi, ma solo sulla pizza, quindi passiamo oltre.

Al Padiglione dei Colori, l’opera Escalade Beyond Chromatic Lands dell’artista americana Sheila Hicks attira sicuramente l’attenzione. La parete di fondo è interamente nascosta da sfere fibrose e colorate, in un’atmosfera curiosa e straniante.

Voltando l’angolo ci troviamo all’interno del Padiglione del Tempo e dell’Infinito, dove scopriremo l’opera dell’artista belga Edith Dekynt: One thousand and one night. In un ambiente buio e spoglio, l’unico elemento che attira l’attenzione è rappresentato da un rettangolo di polvere, illuminato sul pavimento. Attorno alla figura un personaggio attende nervosamente che il fascio di luce cambi posizione, per ricollocare la sabbia all’interno della geometria.

Dopo un breve tratto all’esterno raggiungiamo il Padiglione Italia per visitare Il mondo magico, curato da Cecilia Alemani.  Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey e Giorgio Andreotta Calò presentano i loro diversi progetti, in un percorso critico e a tratti inquietante. Il potere trasformativo dell’immaginazione è il filo conduttore della mostra; un pensiero condiviso dagli artisti. La magia al fine di ri-costruire la realtà e risolvere situazioni di crisi.

In attesa della navetta gratuita che ci conduca alla parte nord dell’Arsenale, recuperiamo le forze al Giardino delle Vergini. Lo shuttle non si è mai presentato (o forse ci siamo addormentati). In ogni caso arrivederci a tutti: andiamo a cenare. Quando si visita un luogo molto turistico è davvero difficile trovare un ristorante degno di essere definito tale. Poi, perché usare Tripadvisor quando puoi finire nei peggiori bar di Caracas (a Venezia). E infatti…

In una piazzetta da cartolina, incontriamo il luogo del misfatto. Ci fanno accomodare e ordiniamo subito un antipasto, il vino e due primi: Gius gnocchi ai formaggi e Fra linguine ai funghi porcini. In realtà tutto molto buono, a parte un bel vermozzo paffuto nel piatto di Fra. Attiriamo l’attenzione del cameriere per informarlo della situazione; ci domanda se abbiamo trovato l’animaletto nel piatto. Avremmo voluto rispondere che era un nostro compagno di viaggio ma ci limitiamo ad annuire.

Ci offrono due limoncelli al sapore di sturalavandini per scusarsi dell’inconveniente (carini)…

La nostra avventura alla Biennale di Venezia continua il prossimo lunedì!

I vostri WOM!

 

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2 comments

  1. […] volta abbiamo raccontato la prima parte del nostro fine settimana alla Biennale dell’Arte di Venezia. Se ben ricordate, dopo aver visitato l’Arsenale siamo andati a cena. Fra aveva scoperto un […]

  2. […] vi è piaciuto questo argomento, trovate qui la nostra esperienza alla Biennale dell’Arte […]

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